L’amore al tempo del Coronavirus

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L'amore al tempo del Coronavirus - un cuore

Questo virus, mentre ci distanzia, finisce per unirci

Nell’epoca meno sensuale che sia esistita, divisa tra relazioni virtuali e ostentata pornografia, eccoci chiamati alla prova estrema. Riscoprire il valore della presenza e del contatto, attraverso la loro assenza. Una sorta di ground zero della dimensione relazionale. Vera condizione quaresimale di ritiro. La chiamano distanza sociale: quella che ci permette di preservare la nostra salute, prendendoci cura dell’altro. E oggi vediamo come miraggi anche baci e abbracci. Sono passati pochi giorni, eppure sembra un secolo. Come essere entrati in una nuova era: un film di fantascienza evocato e incarnato.

La mattina ti affacci alla finestra e vedi qualche personaggio stralunato che cammina nella città deserta. Il pomeriggio c’è il coprifuoco. Le famiglie sono obbligate a una convivenza coatta che le mette a dura prova. Pare che in Cina, dopo l’emergenza, siano esplose le richieste di divorzio. I single scoprono quanto sia dura la solitudine. Ognuno sprofondato dentro se stesso. Quarantena. Isolamento. Perché così facendo, salviamo l’altro. Distanti, ma connessi da un virus che supera i confini. Non ci sono barriere, nazionalismi che tengano. Tra poco saremo accomunati tutti da un medesimo problema. E i dibattiti, le contrapposizioni politiche nazionali e sovranazionali che animavano i talk televisivi ci appariranno obsolete. Come tutto, d’altronde, in questa società dell’apparire. Un balzo quantico di consapevolezza. E ci sentiamo improvvisamente nazione, tiriamo fuori le bandiere, cantiamo, inventiamo storie che sdrammatizzino, fieri della nostra identità e della nostra Resistenza. Nella distanza si riscopre, quindi, il valore della Comunità. Dopo il soggettivismo degli “ego” ipertrofici, ritorna il “Noi”. “Noi ce la faremo!”.

Il Coronavirus è una livella e non fa discriminazioni. Colpisce il ricco e il povero, il normale cittadino e il personaggio politico. Siamo tutti attaccabili, vulnerabili. Il virus ci costringe a una sospensione. Stop. Pausa. Una brusca frenata dopo aver sentito parlare ossessivamente di crescita. La crescita come un mantra. In nome della crescita, abbiamo tagliato le radici dell’albero per ottenere soltanto una folta, effimera chioma. E l’albero è caduto. Ora niente più corse. Giornate affannate. Impegni continui. Criceti nella ruota. Ora la ruota si è arrestata e noi ci ritroviamo ad avere tempo. Il bene più prezioso. Tempo per capire chi siamo e dove vogliamo andare. E’ una questione personale, nazionale, europea, mondiale. E’ stata questa la società del disamore, dell’infelicità e della disintegrazione. A cominciare dal rapporto uomo/natura. Speriamo che questa immane tragedia ci riporti all’essenziale.

Esoterismo: l’eterno presente, essere qui e ora, come medicina dell’anima

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Dettaglio di un’opera di Elsa Hartjesveld. Foto di Marcel Oosterwijk @Flickr, licenza CC BY-SA 2.0

La mente, che non conosce lo spazio-tempo, è la nostra croce e delizia

Verticalizzare l’attimo. Allinearsi allo spazio-tempo. I latini dicevano “Hic et Nunc”. Essere qui e ora. Sembra cosa facile, ma in realtà è difficilissimo. Ci riusciamo quando siamo obbligati a essere concentrati per portare a termine un compito, un obbligo. Ma provate a essere “qui e ora” sempre, in ogni momento. È già questo un esercizio, una pratica che ci trasforma. Ma anche seguire il mentale nelle sue divagazioni e associazioni è un esercizio. Vale la pena sperimentare. Nella meditazione, i pensieri incombenti vanno osservati come nuvole che si trasformano o si dissolvono. Dedichiamo del tempo per osservarci, per capire come funziona la nostra mente. E ognuno ha il suo mentale, con il suo vissuto, pregno del suo personalismo. Di fatto, quasi sempre ogni visione è soggettiva o malata di soggettivismo. L’oggettività, concetto quanto mai abusato, è una chimera. Condizione che pochissimi individui possono lambire, inquinati come siamo da angosce, problematiche varie e pressati da urgenze quotidiane.

La mente non conosce lo spazio tempo. E questo aspetto, pur avendo del miracoloso, rappresenta la nostra croce e delizia. Possiamo rivivere, infatti, momenti passati e riassaporare emozioni, sensazioni che ci fanno riflettere, ci arricchiscono. Talvolta basta un profumo o la riattivazione della nostra memoria olfattiva a farci  partire per un lungo viaggio. È lo choc della “memoria involontaria”, su cui si fonda la Recherche di Proust. Un sapore o una percezione possono rendere vive le nostre intermittenze del cuore. Come quando alla fine dell’inverno, una luce particolare o un effluvio nell’aria ci porta a un anticipo di primavera, facendo riemergere il ricordo delle  trascorse primavere. Ed è questa una straordinaria qualità propriamente umana. Ma la vita non è altro che una somma di tanti attimi di presente. Se comprendessimo questo e riuscissimo a sperimentarlo, tenendo dritta la barra del nostro ondivago mentale, molte delle nostre angosce sparirebbero. Si dice che se rivanghiamo sempre il passato, siamo inclini alla depressione. Soprattutto se tale viaggio nel passato risulta pregno di giudizio.

“Se avessi fatto così…”. La verità è che siamo pieni di rimpianti. Rimpianti di cose non fatte o azioni sbagliate. Ha senso rivangare? Ha senso torturarci nell’afflizione dei nostri errori? Ha senso, soltanto, se siamo in grado di auto-valutarci con onestà perdonandoci e ripromettendoci di agire diversamente per il futuro. Una reale comprensione del passato ci aiuta nella riprogrammazione futura. Ma anche questo è un lavoro difficilissimo perché vuol dire “conoscersi intimamente”.  Il soggettivismo o le interpretazioni di comodo alterano nel ricordo scomode verità. Certo è che non si può vivere sempre rimuginando sui nostri trascorsi, perdendo le opportunità dell’oggi. Un nuovo incontro. Una bella conversazione e quant’altro la vita ha in serbo per noi se siamo pronti ad accogliere e riconoscere. Nello stesso tempo, non possiamo sempre spingerci in avanti. Stressare la mente, pensando a ciò che dobbiamo fare, ai problemi che ci aspettano domani e dopodomani. Colmarci di ansia.  La progettualità è importante. Prefiggersi degli obiettivi anche. Ma anche un palazzo è fatto di singoli mattoni, così come un pellegrinaggio comincia da un passo. Quindi trafiggiamo l’attimo.

Esoterismo, la via interiore è il nostro diritto alla felicità

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Il percorso necessario per disvelare il proprio Sé è vivere meglio

Parlare di esoterismo genera molta confusione. Molti confondono la via esoterica con la magia e la stregoneria. Niente di più sbagliato. Perché è un percorso che ci aiuta nella quotidianità, nella pratica della vita. Un processo di semplificazione e sottrazione. Anche per far crescere una pianta è necessario togliere le foglie secche, potare i rami. Pertanto, proverò a parlare da praticante e non da erudita, nonostante tale percorso (una volta intrapreso) generi fame di conoscenza e curiosità intellettuale. Di conseguenza, comporta l’accostamento anche a testi teorici che possano completare e approfondire la nostra pratica. La via è impervia e adatta a individui con forte motivazione, ricercatori di verità, che intendano emanciparsi dai forti condizionamenti sociali, culturali e parentali  incrostati nel corpo, nelle emozioni, addirittura nel DNA, come dimostrano i recenti studi di epigenetica.

In altre parole, è un percorso di liberazione, dove i processi di consapevolezza dei propri limiti, dei propri blocchi interiori sono fondamentali. E la liberazione non è una passeggiata. Costa fatica. È assai difficile, infatti, sapersi vedere con onestà. Tutti noi abbiamo un’auto-rappresentazione di noi stessi che, talvolta, non corrisponde a verità. Chi siamo noi? Cosa vogliamo? Cosa ci appaga e ci rende felici? Cosa ci appartiene veramente e cosa invece abbiamo ereditato? Dobbiamo quindi essere disponibili a un’opera di disvelamento che può essere scioccante. Crediamo di essere qualcuno o qualcosa e invece scopriamo lati insospettabili di noi. Pensiamo di essere buoni, perfetti, generosi, ma poi dietro il palcoscenico della vita c’è altro. Lati oscuri, ombre, paure, forme di pavidità e mancanza di coraggio. Aspetti che limitano fortemente il nostro modo di essere al mondo, che ci impediscono di essere felici, di provare quella sensazione di pienezza e di connessione con noi stessi e con gli altri.

“Ognuno è il peggior nemico di se stesso”. Quante volte abbiamo sentito questa frase. La realtà è che noi ci auto-sabotiamo. E spesso viviamo anche i momenti di felicità con un sottile senso di colpa, come se non la meritassimo. Oppure aspettando un imminente crollo. Un’imminente catastrofe.  In verità, la felicità è il primo diritto di un essere umano. E bisogna lottare per conquistarla e mantenerla. Iniziare a comprendere internamente cosa ci rende sereni e cosa, invece, opacizza il nostro tono vitale. Iniziare a distinguere tra chi esalta e valorizza la nostra energia e chi invece ci vampirizza, ci svaluta.

Tornando alla nostra metafora della natura, possiamo dire che le piante hanno bisogno di acqua e luce. Anche noi, avviciniamoci a chi ci nutre. Essere ricercatori della propria verità interiore significa, quindi, in primis essere sempre pienamente presenti a se stessi; ben radicati a terra e in connessione con le nostre più profonde sensazioni. Ritornare alla radice dell’essere e non sottovalutare l’intelligenza del nostro ventre, del nostro cuore, della nostra pelle. Avere quindi la forza e la capacità di sentire. In un albero la salute delle radici è più importante della lucentezza della fronda.